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Con estremo piacere e con grande onore possiamo oggi fregiarci di leggere nelle nostre umili e appassionate pagine di JazzReviews.it l’intervista dell’anno.

Il celeberrimo e sorprendente Claudio Fasoli, una delle pochissime personalità che a livello nazionale e internazionale rappresenta una colonna del jazz italiano, ci concede il suo tempo e con grande garbo e introspezione ci racconta la sua arte attraverso lo scambio di battute dell’intervista.

Aprire in altro modo questo pezzo sarebbe riduttivo e prematuro: possiamo solo scegliere fra la miriade di composizioni/collaborazioni/performance da mettere in sottofondo alla lettura di questo spaccato di un uomo, un artista e storia, patrimonio del jazz italiano e di tutta la musica italiana.

 

Com’è nata la passione per la musica e il jazz?

 

Forse come reazione a un’educazione musicale classica che allora era troppo rigida. Per me il jazz fu la musica alternativa, per la sua proposta libertaria e personalizzabile. A otto anni iniziai a suonare il piano e smisi qualche anno dopo, ma continuai ad ascoltare musica. Intorno ai tredici anni, iniziai a cercare qualcosa di mio, qualcosa che non mi veniva dalla famiglia, ma che scoprivo autonomamente. C’era un gruppo di ragazzi delle medie, amici di un ragazzo distrofico, Paolo, che si riuniva a casa sua e stava insieme a lui, ascoltando quei dischi e parlando soprattutto di jazz ma anche di pettegolezzi vari. Io mi aggregai. In quel periodo ascoltavamo soprattutto il jazz di New Orleans: Louis Armstrong, King Oliver, Bix Beiderbecke. Intorno ai quattordici anni scoprii Charlie Parker e poi soprattutto Lee Konitz, che mi prese veramente tanto. Di Konitz mi piacque l’approccio intellettuale, da studioso, il tipo di linguaggio estremamente raffinato, il suono straordinario. Apparteneva a una scuola estremamente severa, quella di Lennie Tristano, un pianista rigoroso che ha saputo creare magnifica musica espressiva anche se non vistosa.

 

Quali sono stati gli esordi?

Sì, quando ero studente all’Università di Padova e ho iniziato a cercare qualcuno con cui suonare. Avevo contatti con altri studenti o comunque amici coi quali scambiavo dischi e opinioni di jazz, andando qualche volta ad ascoltare Franco Fayenz nelle sue prime conferenze. Il Centro d’Arte dell’Università organizzava anche concerti di Musica Jazz e fu così che sentii la prima volta dal vivo il Modern Jazz Quartet. Alberto Zampieri suonava già la tromba. In seguito riuscii a individuare un pianista di nome Benno Pellicciari, che studiava Geologia, triestino, col quale nacque una bella amicizia; poi un contrabbassista diplomato in Conservatorio che per vivere lavorava in Posta e si chiamava Gaetano Consiglio, buona la sua cavata, e infine una figura mitica della goliardia padovana, il batterista Dario Cicero, dotato di buon timing e bel suono. Con loro nacque il mio primo quartetto studentesco che ha nel jazz vari precedenti a cominciare dai Wolverines di Bix Beiderbecke.

 

 

 

Quali sono le influenze artistiche?

Il livello di identificazione con Lee Konitz e di proiezione nei suoi confronti arrivò a livelli problematici, per un certo periodo, intorno ai miei 17-18 anni, decisi di mangiare la metà del solito perché mi interessava assomigliargli nella magrezza ascetica che era proposta nelle sue foto. A sedici anni andai a Torino a sentire Miles Davis e ne ritornai entusiasta e frastornato, avevo già deciso in quale ambito mi sarei mosso, era quello del jazz moderno, contemporaneo, di ricerca. Quando poi sentii Konitz dal vivo a Bologna la prima volta, fui rapito dal suo suono ma anche scoprii che era un uomo normale. Certamente all’inizio cercavo autonomia dall’ambiente famigliare. Certamente capii che il jazz era una opportunità irrevocabile per me. A quattordici anni, quando iniziai a pagare a rate il mio primo sax, sapevo che cominciava una lunga storia di studio e di lavoro su quello strumento. Diciamo pure infinita, dato che finita non è neppure ora. Ovviamente ci sono state anche altre influenze, John Coltrane e Wayne Shorter, per fare almeno altri due nomi.

 

 

 

Quali sono le collaborazioni musicali?

Nel corso degli anni le collaborazione sono state tantissime, impossibile elencarle tutte. Nel 1978, scioltosi il Perigeo, gruppo di sperimentazione di grande successo, nel quale avevo maturato ulteriore esperienza solistica e compositiva, esibendomi in tutta Europa e oltreoceano, iniziai a  dedicarmi, come leader, alla messa a punto di progetti con piccoli gruppi in un ambito più propriamente jazzistico e acustico, soprattutto trii e quartetti. Ebbi così modo di meglio definire quella che sarebbe successivamente diventata la mia cifra compositiva più riconoscibile, vale a dire quella legata alla modalità complessa. Con questi organici ho presentato la mia musica in innumerevoli concerti e festivals, lasciando nutrita  documentazione discografica. Dagli anni 80 ho collaborato sempre più assiduamente con musicisti della scena internazionale come Henri Texier, Mick Goodrick, Lee Konitz, Jean-François Jenny Clark, Aldo Romano, Kenny Wheeler, Bill Elgart, Manfred Schoof,  Michel Pilz, Palle Danielsson,  Tony Oxley. Ho suonato, oltre che in Italia, anche in Francia, Svizzera, Jugoslavia, Polonia, Germania, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Danimarca, Svezia, Finlandia, Irlanda, Inghilterra, Cuba, USA, Turchia, Canada, Messico. ho partecipato inoltre alla prima edizione della Grande Orchestra Nazionale e al Quintetto di Giorgio Gaslini (1989). HO attivamente partecipato alla Lydian Sound Orchestra (1990), oltrechè diretto e animato la European Music Orchestra nelle sue performances dal vivo e in studio di registrazione (1990-92). Ha fatto parte della Manfred Schoof International Band. La disponibilità alla ricerca mi  ha  portato a collaborare col violoncellista classico Mario Brunello, con l’arpista Park Stickney e in diverse situazioni con Bobo Stenson al pianoforte.

 

Parliamo dell’impegno per promuovere il jazz in Italia e di appuntamenti come i MIDJ CALLS

L’appuntamento Midj Calls: Fasoli’s Experience è uno spazio che l’associazione “Musicisti italiani di jazz” ha scelto di creare e di far condurre a me per celebrare l’identità del jazz italiano attraverso la mia esperienza. Un viaggio di incontri tra storie individuali e storia del jazz. Una chiacchierata informale con alcuni dei compagni di viaggio che hanno caratterizzato la mia carriera artistica e che oggi sono tutti dei Maestri di riferimento. Sarà un intenso dialogo fra che celebrerà l’identità del jazz italiano. Gli incontri sono fruibili gratuitamente, in diretta e registrati, nei canali social dell’associazione.

 

 

Parliamo di Next e del premio “Disco italiano dell’anno”

Sono tornato a riconsiderare il quartetto come gruppo e suono di riferimento negli anni 2000 – dopo il periodo intenso di forte interesse per varie tipologie di trii durante metà degli anni ’90 – prima con ”Emerald 4et” , poi col “Four” più recentemente col Samadhi 4et, che continua ad avere  un suo sviluppo ulteriore, poi con Next, progetto in cui l’elettronica ha ampio spazio sul piano evocativo e anche ritmico. Massa sonora, nuvole rumoristiche ed elettroniche si sovrappongono e amalgamano al rigore compositivo, fatto di melodia, armonia e propulsione ritmica ma anche di pause, intervalli, armonie dilatate. Ho messo a punto questo cd – che avrà sèguito anche con proposte dal vivo – con tre eccellenti e originali musicisti: Simone Massaron e Tito Mangialajo Rantzer, già conosciuti e affermati, e Stefano Grasso, giovane e geniale batterista. La chitarra elettrica di Massaron caratterizza il proprio linguaggio mediante un impegno timbrico ampio e vario, imprevedibile, sviluppando un discorso musicale caratterizzato da ondate sonore ricche di enfasi e di pregnanza espressiva; il supporto acustico del contrabbasso di Mangialajo Rantzer apporta invece una saggezza tellurica, definita e sapiente, con un suono materico e  una solidità dal ricco bagaglio linguistico; Grasso, alla batteria, crea connessioni percussive razionali, ma anche nervose e dialettiche arricchendo il panorama sonoro del quartetto con efficacia ritmica e scelta timbrica,  intessendo un tappeto magico e stimolante. Su questi orizzonti il mio saxofono completa il gruppo creando situazioni e soluzioni sonore di impatto emotivo. I brani che si possono ascoltare sono per lo più composizioni recenti con strutture armoniche un po’ articolate; altri, come Extatisk e Arcana, già registrati in contesti molto diversi, ho pensato di riproporli per coprire una fascia di opportunità sonore che mi dispiaceva non evolvere ulteriormente.

 

 

Considerazioni sulla scena musicale italiana? E cosa ci sarebbe da cambiare/migliorare?

Le cose da fare per migliorare la condizione professionale dei musicisti jazz sarebbero molte. Mi dicono che in Francia vengono sviluppati programmi, finanziati progetti, agevolate le collaborazioni internazionali, e viene garantito un reddito minimo agli artisti. Si potrebbe iniziare a imitare i cugini d’Oltralpe…Attualmente MIDJ ( “Musicisti Italiani di Jazz”) è una associazione estremamente matura ed efficace , saggia e funzionale , che ha portato il Jazz Italiano a colloquiare  a livello ministeriale, e non solo, per sensibilizzare i Ministeri competenti alle importanti deficienze legislative che penalizzano il mondo dello spettacolo , della Musica e del Jazz in particolare . Posso dire che ora, insieme ad altre importanti associazioni, abbiamo ottenuto di essere meno invisibili e che la nuova legge dello spettacolo dovrebbe presto essere una realtà.

 

Quali novità bollono in pentola?

I miei impegni e progetti futuri sono i quartetti “NEXT” e SAMADHI” oltre ad altre situazioni integrative con musicisti internazionali a metà anno e verso al fine dell’anno. Dipende da tante cose, compresa la pandemia con la quale dobbiamo confrontarci. Inoltre sono sempre aperto ad altre esperienze che possono maturare anche se  non coincidono coi progetti strutturati.

 

Altre info: www.claudiofasoli.com


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